wp_8534349/ aprile 6, 2023/ Uncategorized

 

Si è svolta ieri sera, mercoledì 5 aprile 2023 , con inizio alle ore 20.30 in Cattedrale, la Messa Crismale presieduta dall’Arcivescovo di Fermo, S.E. Mons. Rocco Pennacchio. Come ormai accade da anni nell’Arcidiocesi di Fermo, la celebrazione solitamente celebrata il giovedì santo al mattino viene anticipata al mercoledì sera, così da permettere una maggiore partecipazione di clero e di popolo (più in difficoltà al mattino per impegni lavorativi) riuniti insieme al proprio vescovo. 

Durante la celebrazione, sono stati benedetti gli olii degli infermi, dei catecumeni e del crisma, in un clima di grande comunione dei presbiteri con il loro vescovo. Più di 150 sono stati i presbiteri, religiosi e diaconi presenti, senza dimenticare i sacerdoti più anziani ed ammalati della casa del clero, presenti ed uniti al vescovo spiritualmente.

Molto numerosa anche la partecipazione dei fedeli, fra i quali erano presenti anche dei giovani che riceveranno la cresima nei prossimi mesi.


Di seguito, il testo dell’omelia tenuta dall’Arcivescovo:

“Questa Messa Crismale, ci dispone a vivere degnamente il Santo Triduo. Come popolo di Dio non possiamo fare Pasqua senza aver prima rinnovato i nostri impegni battesimali. Lo faremo insieme, comunità di presbiteri, diaconi, religiose e religiosi, consacrati, fedeli laici.

La benedizione degli olii è la particolarità di questa liturgia. Essa mostra la Chiesa nella varietà dei suoi ministeri e dei suoi compiti, nell’armonia del sacerdozio ministeriale al servizio di tutti i battezzati, come sacramento di salvezza, che raggiunge e santifica ogni realtà. Gli olii significano l’abbondanza di grazia che anche quest’anno verrà effusa sulle nostre vite, grazie ai sacramenti della Chiesa.

La consacrazione del crisma, grazie all’essenza che lo pervaderà e si spanderà nella nostra Cattedrale, ci farà vivere un’esperienza sensoriale come in nessun’altra liturgia accade. Le cose dello spirito non si esauriscono nel pensiero, non sono teoria. Secondo il Talmud l’olfatto è l’unico senso da cui l’anima trae piacere, mentre tutti gli altri sensi danno piacere al corpo. Un vescovo ha scritto che il profumo del Crisma ci fa capire come le cose di Dio non sono mai asettiche e disincarnate, inodori, insapori; sono invece vere, vive, pulsanti. Nel rapporto con Dio è implicato tutto il nostro essere e tutto di noi, anima e corpo, è chiamato a esprimere la lode di Dio, l’amore verso di Lui e verso i fratelli. Io aggiungo che quando veniamo segnati col crisma diveniamo noi stessi profumo di Cristo (2Cor 2, 15), chiamati, come lui, a vivere il mistero pasquale di donazione della nostra vita.

Viviamo, quest’anno, anche un’esperienza singolare: parte di quest’olio proviene dal “Giardino della Memoria di Capaci”, un segno di risurrezione da un’esperienza di morte e di distruzione, proprio come ci insegna la dinamica del mistero pasquale. Anch’esso infatti, insieme all’olio proveniente dai nostri territori, sarà versato nei vasetti per ogni parrocchia e da lì sarà effuso sul petto dei battezzandi, sulla fronte dei cresimandi, sul palmo delle mani dei presbiteri e infine sulle mani di coloro che sono nella malattia.

Nella Messa crismale vi è una particolare attenzione ai presbiteri e al vescovo. Ciò accade non perché occupiamo una posizione di privilegio ma perché il nostro sacerdozio ministeriale ha la responsabilità di santificare, far crescere il popolo dei battezzati, accompagnarli nella strada della santità, sostenerli a vivere consapevolmente lo stesso sacerdozio battesimale che, con una parola non proprio felice, chiamiamo comune.

Cari presbiteri, l’unico privilegio di cui possiamo vantarci è l’onore di servire e far crescere il popolo di Dio attraverso il ministero e la carità pastorale, servizio che peraltro fa crescere anche noi stessi. Solo per questo, nella liturgia della Messa crismale a noi in particolare è riservato il rinnovo delle promesse fatte il giorno dell’ordinazione: siamo infatti i ministri ordinari dei sacramenti attraverso i quali il popolo viene santificato, e dei quali gli olii sono il segno.

Il nostro impegno è racchiuso nella domanda che fra poco vi farò: Volete essere fedeli dispensatori dei misteri di Dio? Prima però, vi verrà chiesto: “Volete unirvi intimamente al Signore Gesù, modello del nostro sacerdozio, rinunziando a voi stessi”. Si può essere dispensatori dei misteri di Dio se si è intimamente uniti al Signore.

Cosa significa questa intimità? Benedetto XVI, in un’omelia del 2012, a questa domanda, che è posta ad ogni persona consacrata, rispondeva così: “Gesù ci ha consacrati, cioè consegnati per sempre a Dio, affinché, a partire da Dio e in vista di Lui, potessimo servire gli uomini. Ma siamo anche consacrati nella realtà della nostra vita? Siamo uomini che operano a partire da Dio e in comunione con Gesù Cristo? Con questa domanda il Signore sta davanti a noi, e noi stiamo davanti a Lui. Con ciò si esprimono soprattutto due cose: è richiesto un legame interiore, anzi, una conformazione a Cristo, e in questo necessariamente un superamento di noi stessi, una rinuncia a quello che è solamente nostro, alla tanto sbandierata autorealizzazione. È richiesto che noi, che io non rivendichi la mia vita per me stesso, ma la metta a disposizione di un altro – di Cristo. Che non domandi: che cosa ne ricavo per me?, bensì: che cosa posso dare io per Lui e così per gli altri? O ancora più concretamente: come deve realizzarsi questa conformazione a Cristo, il quale non domina, ma serve; non prende, ma dà”.

Per vivere la nostra consacrazione, occorre conformarsi a Cristo. Benedetto poi sottolinea il legame tra conformazione a Cristo e decentramento di noi stessi. Non aiutiamo, pertanto, i battezzati a vivere il loro sacerdozio centrando su di noi l’attenzione, magari grazie a virtù umane particolarmente accattivanti; dimenticheremmo che siamo servitori di una dottrina non nostra ma che è affidata alla Chiesa. Giustamente le promesse sacerdotali chiedono prima se vogliamo conformarci a Cristo perché dall’intensità di tale conformazione, dalla capacità di uscire da se stessi, dal non rivendicare per noi spazi e tempi quasi fossero sottratti al rapporto col Signore, dipende l’efficacia dell’evangelizzazione, come anche il suscitare vocazioni in questi tempi di siccità. Non la materialità dell’essere dispensatori dei misteri, quindi una più o meno esaltante attività pastorale, ci salverà.

È chiaro, noi presbiteri abbiamo la maggiore responsabilità ma la conformazione a Cristo è richiesta a tutti i battezzati, e a coloro che abitualmente chiamiamo “consacrati”, cioè religiosi e religiose. Isaia ha profetizzato: “Lo Spirito del Signore è su di me e mi ha consacrato con l’unzione” ma poi rivolgendosi al popolo aggiunge che “Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore”, perché – come ha detto l’Apocalisse – “Colui che ci ama (…) ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre” (seconda lettura). Nel Vangelo, gli occhi di tutti erano fissi sopra di lui: conformarci a Cristo significa non perdere di vista il centro e il senso della nostra vita e della nostra missione.

Siamo consacrati, conformati a Cristo per la missione. Proclamato il rotolo di Isaia, i presenti ascoltarono la profezia proclamata da Gesù che – disse – in quel momento si compiva, si realizzava nei loro orecchi. Non basta che gli occhi siano rivolti alla persona di Cristo, occorre che lo siano anche le orecchie, per essere docili al suo insegnamento.

Il Signore chiede che ogni “conformato a Lui” debba misurarsi con la stessa affermazione. Compiersi significa percorrere la strada dalla Scrittura che ascoltiamo alla storia che viviamo, dalla promessa al compimento. I suoi compaesani tennero fisso lo sguardo su Gesù ma non arrivarono al compimento, videro in lui solo il “figlio di Giuseppe”; le loro orecchie si chiusero alla Parola, non furono docili all’insegnamento del Signore e si chiusero alla sua presenza.

Carissimi, abbiamo tutti la responsabilità, di attuare il passaggio dalla Scrittura alla storia, alla storia del nostro popolo; abbiamo bisogno di rimettere al centro della vita delle persone il Signore, verso il quale volgere lo sguardo. Non basta che la Parola venga proclamata o commentata nella nostra vita (certo non mancano le celebrazioni di Messe nelle nostre parrocchie) occorre che la Parola venga resa attuale (non adattata alla vita), e parli, compia ciò che dice, prima nelle orecchie e poi nell’esistenza delle persone. Siamo chiamati a prolungare nella carne dell’esistenza, oggi, la Parola che annunciamo. Solo così, la Parola continua a generare vita, e il Vangelo può essere anche oggi narrazione di “avvenimenti che si sono compiuti” e che si compiono “tra di noi”, discepoli e testimoni dell’unico Signore.

Come comunità cristiana dobbiamo riconoscere umilmente che tale compimento non sempre si realizza e questo contribuisce a relegare la fede cristiana nella devozione individuale, rendendo sempre più insignificante il bisogno di una comunità e la necessità della stessa Chiesa. Anche per questo, da alcuni anni il papa ci ha esortati a compiere un cammino sinodale, insieme, per crescere nella corresponsabilità e prendere sul serio i gesti che oggi compiamo in questa liturgia. Accomunati tutti dal battesimo, oggi conveniamo intorno al Vescovo per riscoprirci mandati da Dio ad annunciare la bellezza del Vangelo.

Non possiamo farlo se non in un rinnovato entusiasmo e nella reciproca fiducia: presbiteri, diaconi, religiosi, laici. Chi pensa di poter fare a meno di qualcuno e magari di poter fare tutto da solo è fuori strada perché questa è la Chiesa che il Concilio Vaticano II ci ha consegnato e sulla quale in questi mesi stiamo riflettendo. E che abbiamo bisogno di convertirci ad una Chiesa più corresponsabile e inclusiva è provato dalla grande difficoltà di ascoltare i mondi che abitualmente come comunità cristiana non frequentiamo.

Non stupisce che qualcuno, forse vinto dalla disillusione, non creda nell’efficacia del cammino sinodale. Dovunque non mancano i benaltristi, cioè quelli che pensano sempre che ci sia altro da fare di più importante o urgente. Anche nella sinagoga non riconobbero che potesse esserci la possibilità che Gesù non era solo il figlio di Giuseppe e ne sminuirono la portata, fino a volerlo gettare dalla rupe. Ma ci viene chiesto di compiere la Parola oggi, e oggi il tempo della Chiesa è un tempo sinodale. Chiedo a tutti, nel giorno in cui ci riconosciamo consacrati per la missione, di vincere le resistenze e le supponenze, e a ritrovare lo slancio missionario degno della storia millenaria della nostra Arcidiocesi. Ricordiamo specialmente noi presbiteri quanto detto all’inizio: siamo responsabili della corresponsabilità, del sacerdozio battesimale dei laici; non carichiamoci della pesante responsabilità di aver tarpato loro le ali.

“Maria si alzò e andò in fretta” (Lc 1, 39), è il tema della prossima GMG di Lisbona alla quale parteciperanno 160 giovani della nostra diocesi. Chiediamo a lei di avere la stessa sollecitudine e lo stesso entusiasmo nel portare il Signore a chi lo attende, spesso senza saperlo.

+ Rocco Pennacchio,
Arcivescovo Metropolita di Fermo